Organizzato negli spazi dello ZAC – Zisa Arti Contemporanee da Fondazione Merz in occasione della III edizione della Biennale Arcipelago Mediterraneo, ISOLITUDINE è un progetto corale composto da quattro diverse esposizioni che, interpretando il titolo del concept, un neologismo composto dalle parole isola e solitudine, riflettono sui temi di memoria, insularità e confine, ponendosi in aperto dialogo l’una con l’altra.
Sfidando la tradizionale distinzione tra personale e collettiva, la mostra scandisce quattro diversi habitat, distinti nello spazio ma correlati dalla continuità delle tematiche affrontate.
Apre l’esposizione il progetto False Flag di Voluspa Jarpa, curato da Beatrice Merz e incentrato sulle complesse tattiche attuate in America Latina e in Europa dai governi e dalle agenzie estere per controllare e manipolare l’opinione pubblica e influenzare il corso della storia.
Un’articolata installazione site-specific, che comprende più opere, accosta ai documenti desegretati dell’intelligence americana sui Paesi dell’America Latina durante la Guerra Fredda una serie di altre carte che testimoniano l’esistenza di Eserciti Segreti (Stay Behind) implementati da CIA e NATO e incaricati di svolgere attacchi a bassa intensità con lo scopo di scioccare la popolazione e prevenire l’avanzata della sinistra nell’Europa del dopoguerra.
I fogli mostrano diffuse cancellazioni che ne rendono impossibile la lettura, trasformando le prove documentarie in semplici immagini da osservare e innescando una potente riflessione sul rapporto tra testo e immagine e tra verità e censura.
Completano il progetto due opere, un’aperta
citazione del lavoro di Donald Judd, attraverso cui
Jarpa critica aspramente anche il ruolo giocato dall’arte americana, accusata di aver preferito l’austerità dell’astrazione minimalista, promossa proprio negli anni in cui le manipolazioni politiche in America Latina e in Europa trovavano compimento, al racconto di quella verità e violenza.
Il percorso prosegue con i lavori di Guido Casaretto, a cura di Agata Polizzi. Incentrate sul recupero della tradizione come possibilità di cambiamento, le sue sculture in resina e argilla nascono da un processo di destrutturazione della materia, che viene trasformata ma mai privata della sua radice.
Così accade in Rendering III, una riattivazione del soffitto della vecchia casa della nonna dell’artista a Tarlabaşı, preservato intatto e ricreato attraverso stampi che ne riproducono fedelmente le crepe bruciate e le incisioni in bassorilievo o in Eddies, dove sculture di capre in scala reale replicano le specie che si trovano nell’Acropoli di Atene utilizzando le parti provenienti da tre anfore differenti.
Ai gruppi scultorei
sono affiancate un’opera video che rievoca un ancestrale rito delle stagioni
e un’installazione a pavimento, Argilla, composta da 4.675 unità esagonali, che, simile ad acqua che scorre, lega tra loro le opere, dislocate nello spazio ma connesse dalle geografie dell’anima che ognuna di loro esplora.
A cura di Valentina Bruschi è invece l’imponente opera site-specific di Petra Feriancová, che campeggia sospesa al centro del padiglione e che, dialogando con gli spazi dello ZAC, ex mobilificio Ducrot poi convertito in gran parte in centro di costruzione aeronautico, riflette sul rapporto tra uomo e natura e sul tema del museo come luogo di rappresentazione parziale della realtà.
Ritenendo il concetto di Natura solo un’invenzione della filosofia greca poi adottata dal pensiero occidentale antropocentrico,
Bruschi vede nel museo, quello naturalistico in particolare, uno strumento celebrativo della superiorità dell’uomo
sulle altre specie e nelle
collezioni
contenute al suo interno una raccolta di
trofei sottratti a popoli che l’Imperialismo occidentale ha considerato subalterni e quindi depredabili. In quest’ottica, la gigantesca installazione Vertebra, che ricostruisce idealmente lo scheletro di una balena con tubi industriali in ferro manipolati dall’artista, rappresenta una delle reliquie che lo spazio espositivo è in grado di rendere immortale.
Chiude il percorso Moonbird Variations, la
live video visual performance di Rä Di Martino a cura di Laura Barreca. Utilizzando immagini tratte dal suo film Moonbird, che racconta attraverso le musiche di Mario Remmidi
la storia di una creatura fantastica che prende vita nella villa in cui un uomo si è rifugiato per sfuggire al mondo, l’artista crea un’installazione che avvolge lo spettatore combinando musica arte e cinema. Moonbird è
una figura surreale che nasce nello stato di sospensione onirica innescato dall’improvvisa rottura della monotonia e che, attraverso un percorso che da sonorità neoclassiche vira verso un ritmo elettronico, penetra nel reale attraverso il sogno, tentando senza successo di veicolare
un messaggio che non viene svelato ma rimane soggettivo per ogni spettatore.
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